Si è diffuso con la Gig Economy e tra la generazione Z e negli Stati Uniti dove è stato battezzato “poliworking” condizione professionale digitale.
Dal 2019 i big data della pratica sono aumentati considerevolmente iper un fenomeno in emersione dai Paesi anglosassoni e dalle grandi città. Lo riporta Wired Italia. «Non è difficile immaginare una situazione simile in Europa», scrive Wired Italia. «Le due economie sono strettamente legate – spiega il magazine – e le novità riguardanti il remote working e l’aumento del costo della vita pongono molte persone nelle stesse condizioni».
Se il settore di appartenenza dei singoli poliworkers rimane a grandi linee lo stesso, svolgere un task per la propria azienda o farne uno per un cliente esterno è in termini di sforzi e competenze messe in campo.
Di norma chi è assunto da un’azienda privata non ha restrizioni rispetto allo svolgimento di un’altra attività parallela da libero professionista, a patto che non vi siano clausole esplicite e motivate nel contratto di lavoro.
Bisogna però fare attenzione al rispetto del patto di non concorrenza, cioè il divieto per il dipendente di svolgere attività in concorrenza al datore di lavoro. I lavoratori del settore pubblico, invece, sono vincolati dall’obbligo di esclusività.
Affiancando un’altra mansione alla propria occupazione principale, invece, si ha la possibilità di arrivare a un flusso di lavoro più costante e delimitato, quasi come se si fosse in ufficio.
Per coloro che operano in ambito creativo, inoltre, il poliworking può essere anche una valvola di sfogo: permette infatti di seguire più facilmente progetti personali, o potenzialmente più entusiasmanti di quelli che si svolgono di solito – facendo una selezione a monte che non sempre sul luogo di lavoro è permessa.
Fonte Wired Italia
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