Il tema del recesso dal contratto di apprendistato, nel corso tempo, è stato ampiamente dibattuto sia tra gli interessati che tra gli addetti ai lavori.
Prima del 2015, infatti, poiché il d.lgs. n. 167 del 2011, all’art. 2, comma 1, lett. l), prevedeva che durante il periodo di formazione le parti potessero recedere dal contratto di lavoro unicamente per giusta causa o giustificato motivo, era conseguentemente pacifico che anche gli apprendisti si sarebbero potuti dimettere solo adducendo una giustificazione in fase di recesso. Dal punto di vista pratico, poiché tale decreto introduceva, quindi, la possibilità per il datore di lavoro di chiedere ai dipendenti il risarcimento del danno nell’ipotesi di dimissioni prive di giustificazione nel corso della fase di formazione, la contrattazione collettiva si stava conseguentemente muovendo al fine di introdurre previsioni esplicite in merito all’obbligo di risarcimento in capo al lavoratore. L’introduzione di tali previsioni, tuttavia, è divenuta inutile con il d.lgs. n. 81/2015.
Entrato in vigore il 25/06/2015, il decreto, pur apportando larghe modifiche alla disciplina del contratto di apprendistato, ha intaccato la disciplina del recesso unicamente eliminando il vincolo della giusta causa o del giustificato motivo nel corso del periodo di formazione: è rimasto tale, invece, il richiamo al recesso all’esito della fase formativa dell’art. 2118 del codice civile.
Se, mancando una norma espressa, parve “potersi applicare il regime ordinario sulla scorta di quanto disposto dal comma 3 dello stesso articolo 42″ che, ammettendo l’ammissibilità del regime sanzionatorio ordinario, fa conseguentemente dedurre che per il datore di lavoro “possano valere le regole generali quanto ai requisiti sostanziali di legittimità del recesso”, molto più complesso risulta trovare “una soluzione al silenzio della legge sulle dimissioni del lavoratore durante la fase di formazione”.
Se la norma porta a ritenere che al lavoratore sia consentito recedere solo al termine dell’apprendistato, tale conclusione è stata fino a qualche mese fa ritenuta discriminatoria nei confronti dell’apprendista: in quest’ultima ipotesi, infatti, potrebbe recedere solo ex art.2119 c.c., e non senza obbligo di giustificazione, come consentito di regola ai lavoratori subordinati.
Con la sentenza 1646 del 9 febbraio 2024, tuttavia, il tribunale di Roma ha mutato orientamento. Il Tribunale, infatti, ha affermato che, in caso di dimissioni intercorse nel periodo di formazione, la clausola contrattuale per cui il datore di lavoro può trattenere il corrispettivo della retribuzione per ogni giorno di formazione dell’apprendista è valida.
Con la pronuncia in oggetto, riconoscendo la clausola come una previsione di durata minima o di patto di stabilità che devono essere rispettati dall’apprendista che non vuole incappare in conseguenze risarcitorie, il giudice afferma come la validità della clausola si giustifichi nel “dispendio economico che il datore di lavoro sopporta per la formazione dedicata al dipendente assunto in apprendistato”.
A nulla è servita la strategia difensiva del lavoratore che, non volendo restituire gli oltre 9000 euro, sosteneva il carattere vessatorio della clausola contrattuale (in base all’articolo 1341del Codice civile la clausola vessatoria deve essere approvata per iscritto): per il giudice del foro di Roma la clausola in oggetto non lo è.
Tale sentenza, confermando la validità di clausole che vincolano l’apprendista, non costituisce una novità solo per la categoria di lavoratori in oggetto, ma potrebbe, bensì, portare a innumerevoli pronunce sulle clausole che prevedono periodi di stabilità per tutti i lavoratori che hanno usufruito di un periodo di formazione.
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