L’immigrazione è da tempo in Europa al centro del dibattito pubblico e politico; in questi anni si sono sentite opinioni divergenti, tra chi considera una risorsa l’immigrazione per l’economia e chi sostiene invece la teoria dell’invasione.
Questa settimana la mia attenzione è caduta su un interessante articolo del Washington Post, dal titolo “The economy is roaring. Immigration is a key reason” che racconta gli effetti positivi dell’immigrazione sull’importante crescita dell’economia Americana.
Mi ha colpito molto la dichiarazione della Vice presidente della Federal Reserve di Dallas, secondo cui “l’economia americana non poteva crescere in questo modo dopo la pandemia con la sola forza lavoro nativa”.
Nel nostro Paese, come ormai noto, è in corso un importante declino demografico, che da tempo sta presentando il conto al mondo del lavoro.
Uno sguardo ai dati
Da dati elaborati da Cassa Depositi e Prestiti si evince che nel 2022 il 41% delle assunzioni ha incontrato difficoltà nel reperire le risorse per carenza di candidati. La verità è che ci sono meno giovani e il mondo del lavoro se li contende.
I dati ISTAT, disponibili su Giovani.Stat, ci raccontano che nella fascia di età 14-34 anni, tra il 2019 e il 2023 abbiamo perso 1,5 milioni di unità, e la situazione per il futuro non appare più rosea. Infatti, bisogna tenere conto del raggiungimento dell’età pensionabile dei baby boomer e della conseguente necessità di sostituzione.
Cosa fare? La bacchetta magica non esiste. Dalla politica ci attendiamo politiche di lungo termine, che guardino oltre la prossima scadenza elettorale. E’ chiara la necessità di innovative politiche di stimolo e sostegno genitorialità. L’assunto di partenza è che la rete di protezione per i neo-genitori rappresentata dalla famiglia, oggi non è più presente come un tempo, pertanto lo Stato dovrebbe dirigere i fondi verso servizi di sostegno ai genitori, non solo nella sacrosanta tutela del genitore al lavoro.
Segnali allarmanti sono presenti nelle previsioni per il 2030, riportate da CdP, che vedono uno scenario con una perdita di 2,4 milioni di lavoratori a bassa istruzione rispetto al 2021. Tali lavoratori sono essenziali in settori come l’agricoltura, l’edilizia, turismo e i servizi domestico-familiari.
Quanto avvenuto oltreoceano, narrato nel citato articolo del Washington Post, porta a pensare che, al di là degli slogan elettorali, una soluzione chiave, anche per il Vecchio continente, sia quella di pianificare delle efficaci politiche migratorie, che passino da processi di vera integrazione e formazione, che favoriscano l’incontro tra domanda e offerta di lavoro, oltre che puntare sull’automazione per le attività di carattere routinario, al fine di ottimizzare al meglio le risorse disponibili.
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