In Italia si può azzardare che il welfare aziendale sia recente? In teoria forse sì. Si parte dalla seconda metà del Settecento quando il re Carlo Borbone intuisce gli aspetti positivi dell’introduzione di misure a favore dei dipendenti della Real Colonia di San Leucio.
Poi con la rivoluzione industriale le misure di welfare crescono e a partire dal secondo dopoguerra il sistema di welfare si modernizza velocemente.
Dagli anni Ottanta sulla scia delle multinazionali americane, arrivano i fringe benefit per i dipendenti.
Ma come si misura di questi tempi il benessere aziendale?
Una risposta al quesito è stata ipotizzata in questi giorni dall’Osservatorio Italian Welfare che ha provato a misurare il “benessere globale” dei lavoratori.
Per ottenere questo risultato l’Osservatorio ha utilizzato l’algoritmo “Global Welfare Score”.
“L’algoritmo nasce per valutare i livelli di welfare e prende in considerazione 10 fattori: previdenza, sanità, genitorialità, caregiving, coperture per i “grandi rischi”, work-life integration, wellbeing fisico e psicologico, formazione e crescita personale, misure di sostegno al reddito e l’educazione al welfare”
Sono oltre 700mila i lavoratori e più di cento le realtà aziendali italiane coinvolti nel monitoraggio.
Al momento l’esito non è sembrato positivo, almeno secondo quanto è emerso durante il lancio ufficiale al Senato del nuovo algoritmo di calcolo.
“Dalle elaborazioni del nostro Osservatorio emerge che più del 60% dei lavoratori dipendenti italiani non dispone di un livello adeguato di benessere globale” ha affermato Stefano Castrignanò Direttore dell’Osservatorio Italian Welfare.
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