Licenziato il malato kickboxer 

Così la Corte di Cassazione con la sentenza n. 5002 del 2024 che riprende alcuni principi in caso di Lavoro e altre attività durante la malattia già stabiliti nella giurisprudenza. Se un dipendente mentre è malato compromette la ripresa del lavoro perché svolge un’altra attività si configura un illecito che mina il rapporto fiduciario e la buona fede tra il datore di lavoro e il lavoratore.

Questi in sintesi i principi ribaditi dai magistrati. Il dipendente, al centro di una contestazione sul genere, aveva lamentato la non corretta valutazione del Tribunale d’Appello della relazione sottoscritta dall’investigatore privato in quanto lo stesso lavoratore aveva disconosciuto quanto redatto all’interno del documento stesso. 

Inoltre il ricorrente riteneva anche illegittimo la chiamata a testimoniare dell’investigatore che ha confermato la paternità dell’atto e quanto vi era redatto al suo interno. 

I giudici di Cassazione hanno dichiarato inammissibile ogni punto del ricorso. Il ricorrente richiedeva una nuova valutazione dei certificati, attività non in carico alla sede del gravame. 

Il lavoratore lamentava il fatto che il giudice di seconde cure non avesse di fatto dato peso al disconoscimento da parte del lavoratore della relazione scritta all’investigatore, anche questo punto viene ritenuto inammissibile in quanto “il profilo di censura con il quale si pretende di far derivare un preciso effetto processuale dal disconoscimento, da parte del lavoratore, della relazione investigativa, in quanto tale disconoscimento è del tutto irrilevante, poiché quella relazione è una scrittura privata proveniente da terzi e non dal lavoratore”. 

A conclusione della valutazione dei punti portati dal lavoratore il giudice confermava la sentenza del Giudice d’Appello. 

“Non sempre quando il lavoratore malato compie un’altra attività si può procedere con il licenziamento infatti, questa deve compromettere la ripresa dell’attività lavorativa. L’attività può comportare un grave illecito, il quale va a minare il rapporto fiduciario tra il datore di lavoro e il lavoratore oltre a violare i principi di buona fede di cui agli articoli 1175 e 1375 del Codice civile come riportato dalla sentenza 7552 del 2023”. 

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