Welfare e maternità: nulla di nuovo dall’Interpello n. 57/2024

Avverto spesso una sensazione di insoddisfazione nello scorrere gli interpelli dell’Agenzia delle Entrate, perché mi trovo a leggere una risposta a una domanda che conosco solo in estrema sintesi e senza la possibilità di visionare la documentazione allegata. Questa situazione può portare il lettore poco attento a non cogliere a pieno le sfumature e a trarre affrettate conclusioni. Non sfugge a questa sensazione l’Interpello n. 57/2024.

Nella risposta, la Direzione Centrale Persone fisiche, lavoratori autonomi ed Enti non commerciali dell’Agenzia delle Entrate, è riuscita a ben condensare alcuni fondamentali concetti fiscali legati al welfare aziendale, non apportando, a mio avviso, innovazioni interpretative rispetto ai concetti già noti. Nonostante ciò, ho visto citate l’interpello in innumerevoli post e articoli, generando la sensazione che ci sia stata un’occasione persa o qualche novità interpretativa. Non parlerei né dell’una né dell’altra.

L’Interpello ha per oggetto l’erogazione di una integrazione economica del congedo parentale, che la Società istante vorrebbe riconoscere quale credito di welfare aziendale.

Nella difesa del sacro tempio del reddito da lavoro, l’Agenzia si sofferma su due aspetti, che nel caso in questione devono essere letti in maniera sistematica, ben sintetizzati nelle conclusioni: “Pertanto, sulla base della circostanza che l’attribuzione del welfare aziendale in base allo status di maternità non appare idonea ad individuare una ”categoria di dipendenti” nel senso sopra illustrato, si ritiene che le somme in oggetto debbano assumere rilevanza reddituale ai sensi dell’articolo 51, comma 1, del Tuir, in quanto, rappresentando un’erogazione in sostituzione di somme costituenti retribuzione fissa o variabile, rispondono a finalità retributive”.

L’Agenzia afferma che nella soluzione prospettata dall’Istante c’è un problema legato alla categoria individuata, dall’altra ha inteso l’erogazione come mera integrazione in sostituzione di somme, pertanto attratta dal reddito da lavoro dipendente.

La parte meritevole di approfondimento è quella legata alla categorizzazione; in particolare l’Istante ha rappresentato che destinatari del piano di welfare aziendale sarebbero state le sole lavoratrici, nel periodo successivo alla maternità, che avrebbero ricevuto un’integrazione del periodo di congedo parentale per i primi tre mesi, sotto forma di welfare aziendale. Di fatto appare che la Società datrice di lavoro abbia concentrato la sua attenzione esclusivamente sulle lavoratrici; come dovrebbe essere arcinoto, ma avverto sempre una certa resistenza sull’argomento, anche il lavoratore è fruitore del congedo parentale: forse altra risposta avrebbe potuto avere l’interpello se la misura fosse stata destinata a tutti i dipendenti? Forse sì, soprattutto se l’Istante avesse anche prospettato una misura di welfare diversa nella sua consistenza, non così connessa con la perdita reddituale effettiva (integrazione al 100% del reddito, solo a scriverlo puzza di reddito), più vicina a una forma di sostegno. Un esempio ne sono i diffusi premi nascita sotto forma di welfare aziendale per la famiglia, la cui disciplina non è sovrapponibile al caso di specie. Infatti, i premi nascita sono forme di sostegno alla famiglia rispondenti perfettamente alle finalità del welfare aziendale, che se non erogati in forma monetaria, possono incontrare le esenzioni fiscali previste.

Quindi, cara Società istante, tu che sei a conoscenza della situazione completa, potrai fare tesoro degli utili consigli dell’Agenzia per correggere il tiro. Noi altri  godiamo del nostro premio di consolazione: su welfare e maternità nulla di nuovo.

Avverto spesso una sensazione di insoddisfazione nello scorrere gli interpelli dell’Agenzia delle Entrate, perché mi trovo a leggere una risposta a una domanda che conosco solo in estrema sintesi e senza la possibilità di visionare la documentazione allegata. Questa situazione può portare il lettore poco attento a non cogliere a pieno le sfumature e a trarre affrettate conclusioni. Non sfugge a questa sensazione l’Interpello n. 57/2024.

Nella risposta, la Direzione Centrale Persone fisiche, lavoratori autonomi ed Enti non commerciali dell’Agenzia delle Entrate, è riuscita a ben condensare alcuni fondamentali concetti fiscali legati al welfare aziendale, non apportando, a mio avviso, innovazioni interpretative rispetto ai concetti già noti. Nonostante ciò, ho visto citate l’interpello in innumerevoli post e articoli, generando la sensazione che ci sia stata un’occasione persa o qualche novità interpretativa. Non parlerei né dell’una né dell’altra.

L’Interpello ha per oggetto l’erogazione di una integrazione economica del congedo parentale, che la Società istante vorrebbe riconoscere quale credito di welfare aziendale.

Nella difesa del sacro tempio del reddito da lavoro, l’Agenzia si sofferma su due aspetti, che nel caso in questione devono essere letti in maniera sistematica, ben sintetizzati nelle conclusioni: “Pertanto, sulla base della circostanza che l’attribuzione del welfare aziendale in base allo status di maternità non appare idonea ad individuare una ”categoria di dipendenti” nel senso sopra illustrato, si ritiene che le somme in oggetto debbano assumere rilevanza reddituale ai sensi dell’articolo 51, comma 1, del Tuir, in quanto, rappresentando un’erogazione in sostituzione di somme costituenti retribuzione fissa o variabile, rispondono a finalità retributive”.

L’Agenzia afferma che nella soluzione prospettata dall’Istante c’è un problema legato alla categoria individuata, dall’altra ha inteso l’erogazione come mera integrazione in sostituzione di somme, pertanto attratta dal reddito da lavoro dipendente.

La parte meritevole di approfondimento è quella legata alla categorizzazione; in particolare l’Istante ha rappresentato che destinatari del piano di welfare aziendale sarebbero state le sole lavoratrici, nel periodo successivo alla maternità, che avrebbero ricevuto un’integrazione del periodo di congedo parentale per i primi tre mesi, sotto forma di welfare aziendale. Di fatto appare che la Società datrice di lavoro abbia concentrato la sua attenzione esclusivamente sulle lavoratrici; come dovrebbe essere arcinoto, ma avverto sempre una certa resistenza sull’argomento, anche il lavoratore è fruitore del congedo parentale: forse altra risposta avrebbe potuto avere l’interpello se la misura fosse stata destinata a tutti i dipendenti? Forse sì, soprattutto se l’Istante avesse anche prospettato una misura di welfare diversa nella sua consistenza, non così connessa con la perdita reddituale effettiva (integrazione al 100% del reddito, solo a scriverlo puzza di reddito), più vicina a una forma di sostegno. Un esempio ne sono i diffusi premi nascita sotto forma di welfare aziendale per la famiglia, la cui disciplina non è sovrapponibile al caso di specie. Infatti, i premi nascita sono forme di sostegno alla famiglia rispondenti perfettamente alle finalità del welfare aziendale, che se non erogati in forma monetaria, possono incontrare le esenzioni fiscali previste.

Quindi, cara Società istante, tu che sei a conoscenza della situazione completa, potrai fare tesoro degli utili consigli dell’Agenzia per correggere il tiro. Noi altri  godiamo del nostro premio di consolazione: su welfare e maternità nulla di nuovo.

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